lunedì 10 dicembre 2012

punti di equilibrio instabili.

A volte il dentro arriva fino alla punta della lingua e non si schioda da li, basterebbe un colpo di tosse a scaraventarlo fuori, un colpetto sulla schiena per smuoverlo, un giovane coraggioso ad estrarlo, eppure resta li e non si smuove fino al pronto intervento di squadra di geniglosso, ioglosso, stiloglosso e pataloglosso, che laboriosamente lo impacchettano e rimandano al mittente.
è una grossa fatica, tutto quel lavoro muscolare, eppure è più facile di un veloce e indolore colpo di tosse... La bocca resta asciutta, spesso resta un gusto acre, e la nostalgia di quel sapore di cose vissute troppo, cose così giuste per le nostre papille gustative da esagerare!
Sarebbe così semplice rigurgitarle fresche, giovani e profumate. Fermentano nello stomaco fino a quella sensazione di gonfiore così sgradevole.
Ma quando finalmente il gonfiore passa, non c'è sazietà, ne soddisfazione, forse un po' di nostalgia, solo il rimpianto di aver trasformato il mondo, averlo privato di legami, di forza, di consistenza, averlo lentamente perso così.
E chissà su quella punta cosa poteva accadere.

ci sono punti di equilibrio davvero troppo instabili.

martedì 28 agosto 2012

e brucerei il trono. ...

Credo che ogni uomo dovrebbe avere quel sorriso lì, si penso proprio che ognuno se lo meriti.
Che poi chi ripartisce i sorrisi? Chi sta li a scegliere chi se lo merita e chi no? Ecco il punto, c’è qualcuno che sceglie chi può averlo quel sorriso li e chi non può averlo. Questo è il problema di tutto, c’è sempre qualcuno che sceglie per qualcun altro. Ma se qualcuno che sceglie deve proprio esserci a questo punto penso sia giusto far scegliere ad ognuno chi sceglie per se, così da non potersi lamentare dopo. Io per esempio se dovessi scegliere qualcuno che sceglie per me dovrei rifletterci un po’, non sceglierei mia madre che penserebbe solo al “mio bene”, mi ama troppo per aggiungere un po’ di rischio nella mia vita il che potrebbe diventare monotono, non sceglierei i miei migliori amici perché sono troppo condizionati dalle mie volontà e allora tanto vale scegliere soli, penso proprio che sceglierei il primo bambino incontrato per strada, a mio rischio e pericolo. Uscirei di casa verso le 17:30 percorrerei le strade che portano al parco giochi e li sceglierei il primo bambino e gli metterei nelle mani lo scettro della decisione. Si sarei felice così, almeno sarei consapevole che nella razionalità di un bambino è compresa una massiccia dose di casualità e imprevedibilità, ecco vorrei proprio che sia così, almeno le sue scelte giuste o sbagliate che siano sarebbero aleatorie. Però mi piacerebbe se qualcuno cedesse a me lo scettro della scelta della sua vita, perché in fondo l’idea del potere un po’ ci alletta sempre. La vera debolezza dell’uomo sta nel possedere possibilità, così tante, così disparate da non vederle, una giungla di possibilità nel quale perdersi e non afferrarne nessuna. Così scivolano fra le mani e inciampiamo in quello li che sceglie per noi, quello li a cui però lo scettro non l’abbiamo ceduto noi, quel furbo li che per fortuna o per particolari potenzialità si è trovato sul trono della nostra vita e a volte occupa troni di svariate vite.  Che poi, detto fra noi, fa anche comodo dire di essere distratto o confuso nella giungla così quel furbo li ha tutte le responsabilità, non che a lui interessi qualcosa, ma almeno abbiamo una scusa per giustificare la tristezza della nostra vita e non abbiamo mica intenzione di strappargli lo scettro.
Insomma il dunque è che se io fossi sul trono di svariate vite gli darei quel sorriso li, quello che non mostra tutta la dentatura, quello in cui i muscoli del viso sono rilassati, tipo quando un neonato sorride nel sonno, accennata espressione di paradiso.  Si penso che questo lo distribuirei volentieri, se non altro perché mi renderebbe allegra e serena incontrare tutta gente con quel sorriso stampato sul viso, si penso proprio che poi a un certo punto con quel sorriso potrebbero anche fregarmi lo scettro e io a un certo punto lascerei fare, si sarei davvero soddisfatta del mio operato e brucerei il trono. 

domenica 29 luglio 2012

e mi fa sospirare così.

mi fa girare la testa con quelle sue forme pronunciate, e ne è cosciente, ne è così consapevole che continua a sedurmi lasciando che il vento la scompigli ma non troppo, lasciando che il sole la baci fino a riflettere screpolature e morbidezze di natura, lasciando che possa farmi cullare e massaggiare dalle profondità limpide dei suoi mari, così abitati, così dirompenti e spesso così macchiati di indecenza. Abbonda di umanità, abbonda di sensualità e bellezza, abbonda di crudele intelligenza, perfetta creazione sfregiata solo da puntini in continuo movimento che la violentano, la sbattono, la usano, la violano. Lei si concede e riconcede, ma satura di male rigurgita, e spesso uccide, e spesso si spegne e spesso allontana. Soffre e la sento soffrire, e amo quella sua sofferenza, che è una passione, una via crucis di prove, una sensibilità, è una madre che allatta, accoglie e allatta. Io la amo, come nessuno potrebbe capire, la amo con quelle sue strade così difficili da percorrere, con quelle sue oasi così difficili da raggiungere, la amo con i suoi bagni di sangue, e le sue guerre, la amo con le sue contraddizioni e quella grinta nel rinascere e ricostruire. Io la amo quando tenta di rimediare al male che su di lei si è insediato e ha messo radici, quando copre gli scempi e lascia che il vento ne cancelli le tracce, la amo perchè è madre, è grembo, è culla, la amo perchè semplicemente guardandola do un senso a tutta la mia vita.
Alla mia terra, alla vita che la coltiva.

giovedì 31 maggio 2012

sguardo-sguardo, sorriso-sorriso, saltello-saltello

Incrociare occhi era quello che cercava davanti al gate, senza pensieri lasciando che ogni cosa provocasse una reazione, occhi negli occhi, sorriso... Il primo sguardo andò male, la risposta fu una fuga inaspettata dietro due lunghe gambe, il secondo fu un sorriso accennato e timido, un saluto, il terzo... bè il terzo era lo sguardo giusto! sguardo-sguardo, sorriso-sorriso, saltello-saltello... e una gran festa di saltelli.
Tenersi stretti negli occhi, accarezzarsi di sorrisi, gioire di saltelli, e ancora saltelli fino a perdere il fiato...
Lo sguardo giusto, gli occhi perfetti! Una festa, una cerimonia olimpionica di inizio giochi, un piatto di pasta al sugo al ritorno da una lunga giornata di lavoro, tutto questo era solo una fila davanti al gate.
Ma ai primordi della comunicazione era così che ci si rapportava?
Com'era quando non c'era da scrivere, da digitare, e ancor di più da parlare... quando tutto era fatto di curiosità, una catena di azioni e reazioni, senza poi tante riflessioni.
Com'è quel toccarsi con gli occhi, quel capirsi di espressioni, quel festeggiare di saltelli?
Passo la mano sulla coperta, ruvida, interruzioni di consistenza massaggiano il palmo, i polpastrelli seguono le linee imperfette ma parallele, più liscia la superficie che mi accingo ad esplorare, un foglio cambia le mie sensazioni, freddo, distaccato, distante dal calore della coperta- un corpo a se, sceglie di prendere le distanze - mi induce a tornare sui miei passi, è il ruvido ciò che cerco, la sensazione di presenza di un attrito imponente, che si fa sentire, un attrito flessibile, presente ma non invadente, che si lascia piegare ma che non molla la presa. La mia coperta, un insieme di contatti, presenti, vicini, imponenti e delicati. Un massaggio per le mie mani.
Mi accorgo di avere un filo in bocca, spezza quel gusto amarognolo che resta di un ovetto di cioccolato fondente, ho l'amaro in bocca, ho una presenza insapore in bocca che spezza l'acre, una presenza nel posto sbagliato ma si lascia masticare, un modo per eliminare l'amaro in bocca, non introduce dolcezza, ma come uno spazzino rimuove sapori, per un attimo socchiudo le labbra, lascio che l'aria attraversi gli spazi sottili fra i miei denti imperfetti, il fresco non accentua l'amaro ma lo rende più presente, come se in bocca ci fosse uno strato incrostato di solletico, uno strato di tocchi, uno strato di sapori.
Mi ricordo del filo, il filo delle cuffie che continuano a propinarmi note, me le spediscono direttamente dentro, ad occhi chiusi le sento, le ho in testa, è come se qualcuno mi stesse cantando in ogni canale del circuito del mio cervello, c'è un concerto nella mia testa, eppure posso decidere di spegnerlo, eppure non ha la capienza per tutta questa gente, eppure è vuoto, ma le onde mi attraversano e il loro flusso riempie ogni spazio in testa, quel flusso di segnali riesce a invadere così prepotentemente il vuoto della mia testa... io lo sento, e sento ciò che voglio, e se levo una cuffia e avvicino l'orecchio al palmo della mano l'attrito con la coperta sostituisce il concerto. Sento quando la materia mi parla.
E con gli occhi continuo a scrutare ciò che mi circonda, la stanza che da un anno mi ospita, sembra piena di particolari nuovi, c'è un infinito di punti  sulle pareti di un parallelepipedo.
Mi accorgo di avere le mani sotto il naso quando sento l'odore della mia pelle, da sempre mi accompagna, diverso negli anni ma costantemente presente, è come se fosse vivo, ed è l'unica cosa familiare qui...
L'essenza del mio sentire, del mio essere, del toccare, miscelare, saltellare, scegliere. l'essenza, l'uso simultaneo della base, dei miei pù puri cinque sensi spogliati del resto.
Eppure non so usarli, perche non so reagire alle azioni, perchè non so sentire i più minuscoli odori, ne farmi massaggiare dai più forti attriti, nè lasciarmi solleticare dai più acri sapori, ne riesco a cercare i punti nei punti delle fitte superfici delle comunicazioni.

Mi basta invidiare chi guarda, sorride e saltella.




venerdì 6 aprile 2012

Su un piumone a righe



Tutta una vita da immaginare, su quel piumone a righe, con la testa su un cuscino di piume e l'ansia di chi di fronte ha una pianura enorme. Un punto e infinite direzioni da prendere. Tre punti e tre infinite direzioni da prendere.
Così un giorno di aprile su un piumino a righe ti senti addosso strane sensazioni, la prima la più grande... ti senti davvero l'amicizia addosso. Tre puntini su un piumino a righe, tre puntini su un piumino troppo piccolo per tutti quei sogni.
Ti senti il peso, il peso del futuro, il peso di chiedersi "dove saremo fra un anno?".
Ti senti l'angoscia della mancanza dopo la scoperta. "Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza.Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno.
Farsi presenza, significa accettare il rischio dell’assenza."
Ti senti l'ansia di questo tempo che scorre così e tu non riesci a fermarlo, non riesci a viverlo tutto, vorresti fare e fare e fare.
Tre puntini con storie diverse, trascorsi diversi, luoghi lontani alle spalle, ma così totalmente uguali in quelle sensazioni.
E per quell'attimo scandito dalle righe del piumino senti di non essere sperduta e sola in quel labirinto che chiamano vita, ci sono almeno altri due puntini li con te a imboccare direzioni, a tornare indietro, a sbagliare e coraggiosamente camminare.
E un abbraccio forte a tre riassume tutto quello che ci accomuna.
E buona strada amiche, compagne, sognatrici.

Ci ho guadagnato il colore del grano.

sabato 10 marzo 2012

Una serenata per te... Caterì..

"...Catarì, Catarì,
Pecchè me dice sti parole amare,
Pecchè me parle e 'o core
Me turmiente Catari?

Nun te scurdà ca t'aggio date 'o core, Catarì
Nun te scurdà!..."

E il cielo in questa notte potrebbe farmi impazzire, e il cielo in questa notte mi avvolge come un mantello, cielo tempestato di brillanti, cielo immenso e silenzioso su questa verde campagna illuminata dal solo chiaro di luna, le spighe si piegano al soffio lieve di questo vento che porta aria di mare in questa notte d'agosto.
le spighe si piegano ad ammirare questo cielo, quest'enorme spettacolo della natura, così muto e melodico, si piegano per goderselo meglio.
E potrei esplodere, il cuore lo sento ovunque, da quando incrociai per la prima volta i suoi occhi, da quando da lontano ci scambiammo un po' di noi senza parole, sfuggendo agli sguardi indiscreti del paese, perché questo amore è così nostro, così silenziosamente magico da non sgretolarlo con inutili parole, da non lederlo tramite frastuoni ma lasciando che si culli al suono delle nostre emozioni.
Un attimo, e gli avrei donato me stessa senza esitazione.
E ora penso che questo cielo avvolge anche lui, e che questo calore, questo principio d'esplosione lo so che ci accomuna, lo sento ed è sempre più vicino.
Così vicino da vederlo, illuminato solo dalla luna, come un film in bianco e nero, si fa spazio fra il grano, attraversa i campi... è lui, è qui, per me.
Eccolo sotto la mia finestra l'uomo della mia vita, eccoti compagno di questo e di mille altri cieli.

La immagino così quella notte che ci hai solo accennato.
Grazie Caterina per la tua bellezza, grazie perché ami ancora come in quella notte.

domenica 26 febbraio 2012

dov'è giustizia? qui non ne vedo.




che la terra ti sia finalmente lieve, come un soffio.

Uomini, persi e spaventati, da vittime a carnefici, da carnefici a vittime, senza identità, così piccoli fragili, solo persi e mai più ritornati.
Non c'è giustizia, non c'è pace.
Rabbia, angoscia, impotenza, solitudine.
Nessuno ci può salvare in questo inferno, nessuno.

Ma la terra che ora ti avvolge, oggi ti protegge, oggi ti riscalda.
Voglio credere che qualunque cosa sia, sia una culla, sia un abbraccio, sia quello che in terra ti è mancato.

agli otre 2000 "morti di carcere" degli ultimi 12 anni
ai morti per mano di quella che chiamano giustizia
a tutte le vite annientate nelle strutture di detenzione
a tutte le vittime delle repressioni
a tutte le vittime di quella che chiamano civiltà.

dov'è giustizia? qui non ne vedo.

mercoledì 8 febbraio 2012

di umana bellezza.



corre sui prati e bianco corallo e pensieri di luglio. sogni di terre libere, sogni di arcobaleni, a ricordare i risvegli gioiosi di primavera, come un pesce libero dalla sua boccia, come un albero dalle forti radici piantato e nulla a scalfirlo.
ritratti dipinti a mano sono i suoi ricordi, colori cangianti stesi con fatica a dedizione, ritratti che prendono vita fra le culle che passano da generazione in generazione, e quel legno che ha la stessa età dei suoi figli quando a dargli comodità era quell'uomo a cui aveva dato la sua vita. Dunque sogni rossi di amore, l'amore di chi si dona incondizionatamente e sopporta umori e malumori, amore di chi resiste alla pochezza materiale di un luogo che trabocca di se stesso.
Aria, questa vita è aria, che gonfia i polmoni e le vele di questo panfilo che non conosce terre, che non teme argini, ma solo andare e andare e solcare i terreni più lontani a distanza nulla dai propri baricentri.
Guardala l'emozione che prende forma come raggi su quel viso, e nessuna vergogna di mostrare pieghe ad ogni sorriso, sono canali che per anni hanno trasportato gocce di quotidianità e oggi trasportano come una biga su territori montuosi chi incrocia quella sua fattezza.
Se non fosse per quei suoi capelli color cenere, potrei pensare che a sfidare tale vento di vita sia una creatura divina, ma nulla è più bello di ogni imperfezione umana, di ogni piaga che con naturalezza racconta questo lungo cammino.
è tingersi di umana bellezza.
e ditelo al mondo che voglio quel viso, quello sguardo, quel delicato sorriso.


(foto di Manuela Antonucci)

lunedì 23 gennaio 2012

Un viso su una macchia

Ogni tuffo a raccogliere purezza, pronta a coprire piaghe, ombre, piano piano, lasciando qualcosa di visibile, un contrasto con ciò che copre, nessuna esitazione, in qualche angolo sfumare, dipingere, coprire, eliminare.
Pieghe, imperfezioni, rughe, da sottolineare o da coprire fino a farle scomparire, e quel volto nuovo prende forma.
E indossarsi nuovamente, fino a non distinguere più il trucco da te, come cucito, come conosciuto, come se fosse te da sempre.
un polpastrello lentamente sfiora quel bianco, arriva al rosso sulle gote, e quel colore da ritoccare da sfumare, da cercare.
Ma tu chi sei davvero?
e non ti distingui più.

mercoledì 4 gennaio 2012

così ci sbeffeggia la vita.

Sottili granelli che si mescolano, e il vento impetuoso senza tregua, senza pietà sceglie per ognuno.
Che senso ha scegliere, che senso ha il deserto, le oasi e il mare da arginare, che senso ha l'argilla, la pietra, che senso hanno le strade con incroci orgogliosi dei loro punti interrogativi.
La vita sceglie da se, e non la puoi controllare.
La vita sceglie sempre maledettamente ciò che vuole.
Perché la vita è così, se ne fotte di ciò che vuoi tu, la vita è egoista, si dona e ti mostra la bellezza del mondo, per poi togliertelo quando vuole.

Perché poi ci da gli attimi ma non ci da la forza per coglierli, ci da i sogni ma non ci da gli strumenti per realizzarli, ci da gli altri ma non ci dà la capacità di relazionarci. Così ci sbeffeggia la vita.