sabato 19 novembre 2016

Nulla mi fa bene come la diversità.

L'alba era da poco passata, il mio posto finestrino era piuttosto scomodo, il treno non riusciva a mantenere un andamento rettilineo, spesso gli zaini riposti sulle "cappelliere" saltavano, eravamo tutti attenti a fissarli al meglio per evitare che qualcuno fosse schiacciato dal peso del nostro necessario.
Il finestrino era aperto, come lo è stato per tutto il lungo viaggio che da Mandalay ci ha portato a Hsipaw, poggiare la testa dal lato del vetro non era consigliabile, perchè la natura incontaminata che attraversavamo spesso invadeva lo spazio del treno e, un ramoscello sul viso, anche se a modesta velocità, avrebbe lasciato il segno!

Non ricordo che ora fosse, avevamo passato da poco il maestoso viadotto che riempie le memorie delle macchine fotografiche di tutti quei viaggiatori che scelgono di attraversare quel tratto di Birmania su un treno locale.
Nella tiepida luce dell'alba, in quel viaggio scomodo, quel treno non al passo con i nostri tempi (molto simile ai treni Calabresi per la verità) attraversava i villaggi del nord con le loro case in legno molto simili a palafitte, con i tetti ricoperti da rami secchi di alberi di palma. Intorno a ogni casa c'erano orti e natura rigogliosa, e quando i raggi del sole hanno acceso il canto dei galli, la vita Birmana, come ogni mattina, è ripresa. Uomini e donne a coltivare la terra, chi a lavare i panni, chi a prepare il riso per il curry, tutti con in testa i grandi cappelli a tesa larga per proteggersi dal sole, gli uomini a masticare le foglie di Betel.
 Poi c'erano i bambini, niente di strano vedere dei bambini, e per la verità stavano bene, li vedevo felici e gioiosi, erano bambini insomma! Ma c'era una cosa che quei bambini facevano, qualcosa che mi ha leggermente accellerato i battiti azzionando un meccanismo di salto spazio-temporale. Quei bambini sentivano il treno che stava per passare e correvano incontro a noi passeggeri per salutarci timidamente, col tipico sorriso Birmano.

- Avevo circa 7-8-9-10... anni. Insomma avevo quegli anni li che  avevo in quelle giornate li, e arrivavo a casa da scuola, credo alle 13:30, arrivavo e fuori era primavera e io amavo il sole. Arrivavo e sapevo che di li a poco sarebbe passato il treno che arrivava o andava a Cosenza, quel treno passava proprio dietro casa mia, quindi non potevo non corrergli incontro. Lasciavo lo zaino, correvo fuori, attraversavo l'orto e aspettavo quel momento li in cui il treno passava a una 20ina di metri da me. Io però non salutavo, anzi, fugavo lo sguardo dei passeggeri e li osservavo con la coda nell'occhio, per la timidezza.-


Ecco, mi è ben difficile cogliere le sensazioni di quel momento, perchè le conosco poco, era come essere li e non accorgermene realmente. Sospesa in un intervallo spazio-temporale poco definito. 
Ma la meraviglia del viaggio, quella la sto conoscendo bene, per quel pieno di incontri che mi distendono ogni nervo teso del corpo. Credo che nelle fasi di ogni vita capita di sentirsi a volte esseri assolutamente infiniti, altre volte ingabbiati e vuoti. In ogni caso queste fasi non possono non darmi la certezza che siamo un micromondo e l'esperimento più bello a cui non voglio rinunciare è quello di popolare il mio micromondo di incontri con cui saltare in spazi e tempi.

Loro salutano, io non lo facevo. Nulla mi fa bene come la diversità.




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