venerdì 26 agosto 2011

La risposta della luna



Guardo la luna in una sera d’agosto, per un attimo mi sembra di tornare indietro di qualche giorno, quando la luna era diversa, non solo per le sue dimensioni, ma per ciò che illuminava.
Per un istante sento un vuoto dentro, come una mancanza, non penso sia solo nostalgia di un luogo, piuttosto penso che quando si assapora il gusto delle piccole cose è difficile dimenticarlo. Il Dukagjin non ha nulla di diverso dalle nostre montagne, l’acqua del fiume è composta da molecole di H2O come la nostra acqua, il cielo è azzurro di giorno e si trasforma in un infinito tappeto di stelle di notte come il nostro cielo, gli abitanti continuano ad avere due braccia e due gambe come noi, i bambini sono pieni di curiosità e amano giocare come ogni bambino della loro età. Allora perché nel complesso sembra tutto così lontano da noi? Mi rimbalza nella mente questa domanda da quando sono tornata ed è la luna a rispondermi. La realtà è che per necessità o per comodità non sentiamo più il bisogno della luce della luna, non ci sdraiamo più a vedere le stelle, ci bastano i nostri lampioni che illuminano ogni angolo delle nostre città e nascondono le sfumature e le luci del nostro cielo. Ecco che gli angoli bui delle nostre città spesso sono posti da evitare, posti poco sicuri dunque poco frequentati. Così abbiamo dimenticato quant’è bello il mondo visto al chiaro di luna! Abbiamo dimenticato quant’è bello poter fare un bagno in un fiume in cui l’acqua è limpida e ghiacciata, quant’è bello potersi sdraiare al sole e respirare a pieni polmoni , quant’è bello cogliere dagli alberi i frutti della natura e assaporarli… Ma dimenticare non credo sia il verbo opportuno, forse questa bellezza non l’abbiamo mai conosciuta, non l’abbiamo mai cercata. Preferiamo stare sotto la luce dei lampioni, scaricare la nostra immondizia nei fiumi, riempire l’aria di smog e muoverci comodamente, mangiare cibo comprato di cui ignoriamo la provenienza. L’utile non coincide con l’essenziale qui. Non penso si possa definire chi vive meglio o chi vive peggio, né ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma come l’anno scorso la valle di Breg Lumi mi induce a riflettere. Quest’anno il viaggio è stato diverso, non solo per la sua brevità, ma soprattutto per la consapevolezza diversa col quale ho vissuto ogni singolo giorno. È stato un viaggio dentro me, è stato un viaggio tanto crudo quanto dolce e delicato, un susseguirsi di schiaffi e carezze, di infinite domande. Colpita da sguardi, sorrisi ed espressioni. Colpita da quell’essenziale che và oltre il luogo, ma identifica ogni singolo uomo. Come guardare lo sguardo di Josef che mostra orgoglioso e un po’ dolorante il dente appena estratto, come sentire una scarica che ti attraversa quando sai che mentre Josefina lotta contro una radice che proprio non vuole uscire i due fratellini le stringono le mani, come quella fitta allo stomaco quando guardi Adrian che a soli 3 anni è costretto a stare chiuso in casa e lo resterà per il resto della sua vita perché qualcuno ha deciso per lui, come lo stupore che non riesci a mantenere quando vedi gente adulta emozionata per dover fare la propria prima visita medica. Ti domandi come fai a voltare pagina e a vivere la tua quotidiana vita quando sai che lì ha lasciato occhi desiderosi di conoscere e imparare costretti a vivere spesso chiusi in delle case che nella maggior parte dei casi corrispondono alle nostre stalle, quando sei consapevole dell’esistenza di territori in cui la medicina non può arrivare… Allora ti senti in colpa per ciò che hai e non ti sei guadagnato, per ciò che possiedi e non l’hai meritato, e ti viene voglia di urlare contro tutto e contro tutti, perché tutto ciò che non ci permette di guardare la luna e le stelle, di assaporare l’acqua e i frutti della natura è la stessa cosa che non ci permette di aprire gli occhi. Siamo così ciechi da disprezzare chi varca i nostri confini a bordo di un gommone, ci sentiamo superiori, ci siamo arrogati il diritto di giudicare e ancor peggio di scegliere per le vite altrui. Ma cosa siamo noi? Possiamo davvero pensare di recarci in terre straniere e insegnare qualcosa? Noi che abbiamo le case piene di cianfrusaglie inutili che non condividiamo, noi che riempiamo gli appartamenti di camere da letto e aboliamo le stanze in cui stare insieme e in cui accogliere chi ci viene a trovare, noi che accorriamo alle iniziative di beneficienza per sbarazzarci dei vestiti che non vanno più di moda ma quando ci viene detto che qualche rinuncia potrebbe davvero salvare l’economia di interi stati facciamo orecchie da mercante!
Allora io guardo la mia vita, e penso a chi in Dukagjin costruisce una casa con due camere degli ospiti e dorme con tutta la famiglia sul cemento di un sottotetto anche quando fuori nevica, a quegli uomini e a quelle donne che a 50 anni hanno il viso segnato dal lavoro per mettere da parte le provviste per l’inverno e donano il cibo di una settimana a chi va a fargli visita, penso a loro e da ogni loro gesto imparo umanità. Quella valle, come ogni luogo di questa terra, è piena di contraddizioni, è piena di bambini che cercano delle possibilità per poter realizzare i propri sogni, è piena di grandi donne che chinano la testa e stanno in disparte e di Adrian costretti a pagare per gli errori di altri. Ma oggi torno stordita da questa moltitudine di schiaffi e carezze, come se non sapessi più dove stia la cosa giusta, come se mi domandassi costantemente se siamo più poveri noi o loro. Sono stordita ma indignata, sicuramente so di non essere cieca.


foto di Pamela Samarelli

1 commento:

  1. Dukagjin ti ha regalato la luce della luna per guardare nei cuori della gente, oltre tutto ciò che sembra, oltre tutto ciò che appare.
    Grazie per le tue riflessioni e per l'aiuto concreto che hai donato durante quei giorni. Come dice Angjelin, a Dukagjin tutti fanno qualcosa di piccolo per dimostrare un grande amore.
    Grazie ancora, Ivana. Ti voglio bene.

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